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Maneki Neko, gatto portafortuna

Chiunque sia stato in un sushi bar o in altro locale di ispirazione giapponese (e non solo), avrà notato la presenza, all’ingresso, di un gatto che accoglie gli avventori. Raffigurato in forma di statuetta, poster o addirittura semplice adesivo sulla porta, di certo non può mancare. È proprio lui: Maneki Neko (招き猫  o 招猫), letteralmente “il gatto che chiama”. 
[Fonte]

Maneki Neko è un bobtail giapponese dal mantello di vari colori. Quando è bianco, indica la purezza. Quando è nero o rosso allontana gli spiriti malvagi e le malattie, mentre se è dorato o rosa attrae, rispettivamente, il denaro e l’amore. In molti casi, tuttavia, il suo pelo è di tre colori. Poiché i gatti maschi non possono averne più di due, il manto geneticamente impossibile di questo Maneki Neko lo rende il più “fortunato” di tutti.
Tipicamente Maneki Neko sta seduto con una zampa anteriore alzata in un cenno di richiamo. La zampa sinistra invita le persone ad entrare, mentre la destra richiama ricchezze e buona fortuna. Più alta è la zampa e maggiore è la “portata” dell’amuleto. I Maneki Neko prodotti per il mercato estero spesso mostrano il dorso della zampa, in un cenno più comprensibile in occidente; quelli nazionali invece mostrano il palmo con le dita ripiegate in avanti, nel gesto tipico giapponese.
La placchetta che spesso tiene nell’altra zampa è una moneta d’oro, il koban, in circolazione nel periodo Edo. Spesso sulla moneta, che storicamente valeva un ryo, è riportato il magico valore di un milione di ryo. Altre scritte molto frequenti – in caratteri impressi sulla moneta, sul campanellino o direttamente sulla pancia di questo gatto – invece sono parole o frasi bene auguranti.
Maneki Neko porta sempre un collarino rosso. Nel periodo Edo, infatti, le dame usavano ornare il collo dei propri animali da compagnia con un nastrino fatto di petali di camelia rossa (Camellia japonica L.) cui era attaccato un campanellino. Talvolta Maneki Neko indossa anche un grembiulino o una pettorina; secondo alcuni questo è un riferimento a Jizo Bodhisattva, protettore dei bambini malati e delle madri in attesa.

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